Nel 1418 Carlo Malatesta donò a Pietro Ungaro a Scolca, sul colle di Covignano,
un oratorio costruito a suffragio dell’anima dei genitori Galeotto e Gentile da Varano.
I frati ungheresi per ragioni sconosciute vennero richiamati in patria e il Malatesta,
con il consenso del Papa Martino V, chiamò al loro posto i monaci Olivetani.
Questi raccolsero l’invito e pretesero che Carlo Malatesta concedesse loro non un semplice oratorio ma una vera chiesa monastica.
Appena un secolo prima Bernardo de’ Tolomei aveva fondato Monte Oliveto Maggiore
e a questa abbazia, in breve tempo, se ne aggiunsero molte altre. Quella di Scolca fu la ventiduesima fondazione e divenne subito la più importante della diocesi di Rimini.
Tra il 1421 e il 1483 gli Olivetani costruirono una nuova chiesa che ebbe una sola navata sin dall’inizio, incorporando e cambiando l’orientamento dell’Oratorio.
Nel 1501 i monaci comprarono dal Doge di Venezia cinque porte per abbellire la chiesa. Nel periodo rinascimentale, soprattutto al tempo dell’abate Faetani, l’Abbazia di Scolca ebbe la sua più felice stagione artistica.
Nel 1512 Benedetto Coda affrescò la Cappella dei Malatesta e la Pala d’altare.
Nel 1548 Cristofano Gherardi affrescò una delle cappelle, l’attuale sacrestia.
Nel 1550 l’abate Faetani fece eseguire delle statue di stucco dal monaco olivetano Tommaso da Bologna e fece anche decorare la chiesa, secondo il costume olivetano,
con festoni di alloro e mirto e modificò gli altari laterali.
Tra i suoi interventi più importanti, commissionò al Vasari un dipinto sull’Adorazione dei Magi.
Nel ‘600 la chiesa perse l’aspetto iniziale di fortilizio. Vennero rinnovate
le decorazioni interne. L’abate Tignoli la allungò e fece costruire un nuovo coro.
Nel 1715 l’abate Giuseppe Felici eresse un nuovo altare maggiore in stile barocchetto bolognese e fece selciare il sagrato.
Nella notte di Natale del 1786 un terribile terremoto distrusse il monastero e danneggiò anche la chiesa.
Luigi Diotallevi Buonadrata fu l’ultimo degli abati di Scolca. Nel 1797, le soppressioni Napoleoniche portarono alla chiusura dell’abbazia, alla confisca dei beni e alla perdita
di opere di grande valore come la pala di Benedetto Coda e il bassorilievo di Agostino di Duccio.
Nel 1805 la chiesa di San Fortunato diede il titolo alla nuova parrocchia.
Il titolo è un titolo importante perché Fortrunato, Vescovo di Todi era una figura di rilievo riconosciuta anche da Gregorio Magno nei Dialoghi.
Nel secolo scorso le bombe della seconda guerra mondiale distrussero la parte più
antica dell’edificio che era stata dipinta dal Vasari e dai suoi collaboratori e la pala dell’annunciazione del Centino. Oggi restano, adibite a Sacrestia, le due cappelle laterali affrescate da Benedetto Coda e Cristofano Gherardi.